In queste pagine vorremmo tentare di ricostruire la storia di Borselli, non attraverso documenti d'archivio o i libri di storia, ma dando voce ai vostri ricordi: com'era il paese? Come si è trasformato? Quali erano le attività? Le feste, i lunghi inverni, le persone che non ci sono più, quel profumo di pane fatto in casa, le conversazioni ai tavolini del bar….
Graziella nasce a Mulino di Mentone il 1 Aprile 1927, la prima di due sorelle e due fratelli. Frequenta la prima e la seconda elementare presso la scuola di Mulino poi la quarta e quinta a Palazzaccio. Racconta che a Mulino il maestro era “birbone”, come lo definisce ancora lei: per punire i bambini dava loro le bacchettate sulle mani e li teneva in ginocchio sui ceci per mattinate intere. Mentre racconta il suo tono di voce si alza, è ancora arrabbiata, tanto che sembra di sentirli quei colpi dati con inutile cattiveria e di vedere le lacrime negli occhi di quei bambini. Ma “G” non ha un carattere debole, si ribella e addirittura minaccia il maestro di denunciarlo.
Fin da bambina, oltre alla scuola, aiuta la famiglia lavorando nei campi e nei boschi. Ricorda che suo padre la svegliava alle tre di notte per andare a controllare le carbonaie e di giorno aiutava a caricare di legna i ciuchi per alimentarle.
Racconta ridendo che una volta alla fattoria di Pomino, lei a altre sue compagne avevano l’incarico di pulire le botti, per curiosità o per gioco, si misero ad assaggiare prima il vino, poi il vinsanto prendendosi una solenne sbronza.
A 16 anni “badava” i bambini del mugnaio che con il figlio gestiva il mulino ed aveva il vizio di bere. Al mulino si macinava il grano e le biade e, racconta con orgoglio, che le file dei carri trainati dai buoi arrivavano persino da Montemignaio. Lei stessa impara a farlo funzionare per sostituire il mugnaio quando era così sbronzo da non riuscire ad alzarsi dal letto.
E poi la guerra, i tedeschi avevano occupato molte delle case del borgo e gli abitanti dovevano conviverci.
I ricordi diventano emozione: I tedeschi che minano il ponte di Mulino, “..e i sassi schizzarono fino a Metamorli” racconta, sembra di vederli quei sassi e quella polvere che abbuiano il cielo; il padre che per un mese rimane chiuso in soffitta per timore che i tedeschi lo portassero via; e poi la paura che durante un attacco la spinge a rifugiarsi nel mulino nascosta sotto una coperta. E ancora la paura quando i tedeschi in fuga, diventati più cattivi, passano fra quelle case, 5,6 per volta, seminando il panico e lei per timore si nasconde nel ritrecine del mulino.
Poi l’amore, si sposa e va ad abitare a Castelnuovo, ma non sono anni di tranquillità, deve occuparsi della suocera molto malata. Negli anni ’60 viene a vivere a Borselli. Suo marito costruisce la casa, una delle prime di Fontamassi, situata in una posizione dominante rispetto alle altre. Per 7,8 anni va a lavorare a Firenze in una famiglia poi la sua vita di lavoro continua accanto al marito imprenditore, lo aiuta anche nel cantiere portando le carriole di cemento. Ma ricorda anche con nostalgia gli amici, la partite a carte fino a notte fonda, le gite sulle Dolomiti.
A quell’epoca, racconta, il borgo era un vero proprio paese: c’era l’Ufficio Postale, la caserma dei Carabinieri, la scuola, la Marietta che gestiva un negozio di merceria e abbigliamento, il ciabattino Ezio, detto Trueba, che non solo riparava le scarpe ma le sapeva anche fare, e poi i due ristoranti dei Felici, il Bar. Al circolo si poteva ballare e ogni anno veniva organizzata la festa del paese.
Poi via via il paese va impoverendosi, trasferiscono i Carabinieri, l’Ufficio postale viene chiuso, anche la merceria alla morte dei proprietari non viene più riaperta, chiude la scuola e l’edificio viene trasformato in abitazioni.
Più tardi vengono costruite le case a schiera a Fontamassi e la strada viene asfaltata, vengono costruite varie villette lungo la strada che porta al paese e anche la collina di Poggiobosconi si popola di abitazioni. Lei le conosce quasi tutte quelle villette perché i proprietari le affidano le chiavi nei mesi invernali, si fidano di lei. Spesso percorriamo ancora quella strada e lei mi racconta dell’amicizia che la legava a quelle persone, molte delle quali non ci sono più, rimangono soltanto le case chiuse e abbandonate.
“G” è un’ottima cuoca, sa fare anche la tradizionale schiacciata di Pasqua: un pane dolce fatto con farina, zucchero, uova, zibibbo, olio profumato di ramerino e lievito che si mangiava appunto la mattina di Pasqua a colazione insieme alla frittata con la carne secca, gli affettati e la Pasta reale. La Pasta reale era fatta con uova zucchero, fecola, le chiare montate a neve e il lievito.
Oggi “G” è una vivace signora di “una certa età”, amata e rispettata da tutti. La vita l’ha colpita duramente ma non si è mai lasciata abbattere e, come quella volta che si ribellò al maestro, ha imparato a reagire ai periodi bui e vive giorno per giorno in quella casa, la più in alto di tutte, testimone di quanto avviene in questo piccolo mondo.
Una volta lasciato il paese dove sono nata, Molino di Mentone (tre case di numero!) e tornata a Borselli, la prima impressione che ho avuto è stata di trovarmi in una ‘metropoli’. La posizione della casa era dominante: dalla finestra della mia camera si poteva vedere la strada che porta a Poggio Bosconi, posto animato dai villeggianti nel periodo estivo, all’inizio della via, sulla destra, si trovava il negozio di abbigliamento della Marietta, di fronte, l’ingresso alla fattoria dei Socini, allora ancora attiva, dove lavoravano e abitavano il fattore e il sottofattore con le rispettive famiglie. Si percorreva la strada in salita sulla quale si affacciavano molte villette fino ad arrivare al campo sportivo dove ogni anno venivano disputate partite di calcio fra scapoli ed ammogliati. La finestra della cucina dava sulla strada provinciale che porta a Firenze. Proseguendo verso la Consuma ed il Casentino c’era l’Ufficio postale, il macellaio e i due ristoranti dei Felici. Di fronte, il ‘Circolino’, che all’epoca ha visto sbocciare (e finire) tanti amori. Sopra il Circolino la scuola elementare e, sulla destra, la Via delle abetine che porta al Poggio di Fonte ai Massi, altro luogo ricco di villette.
Ma la mia casa era veramente al centro del paese! Situata sopra il bar e la famosa Casa del Prosciutto, il negozio di alimentari dove chi transitava da quella strada si fermava puntualmente a fare merenda. Di fronte, i giardini sempre superaffollati durante il periodo estivo, ed era proprio durante questo periodo che il paese ci sembrava meraviglioso. Mi ricordo che eravamo tanti, tanti giovani, pieni di iniziative e ogni giorno per noi era una festa. Ma la grande festa, la ‘Festa di Borselli’, quella che tutti aspettavano, arrivava la seconda domenica di Agosto. La mattina presto mi affacciavo alla finestra e vedevo le bancarelle che vendevano un po’ di tutto, la gente arrivava dai paesi vicini, nel pomeriggio i tamburi annunciavano l’arrivo della banda musicale quindi iniziavano i giochi: la gara della pastasciutta, il tiro alla fune, la pentolaccia, l’albero della cuccagna la “rota di Cecco”…. e per finire porchetta e vino per tutti.
Oggi non abito più in quella casa nel ‘centro storico’ dalla quale si poteva osservare la vita quotidiana del paese, ma, del resto, tante, troppe cose sono cambiate durante il trascorrere degli anni: è stata chiusa la fattoria, il negozio della Marietta, la Posta, il ristorante, la scuola …. Ma forse sono cambiati anche i giovani di una volta, quelli che si divertivano in una stanza di un circolo di paese a parlare del più e del meno, a organizzare qualcosa per il giorno dopo e gioire per una festa di paese.
Dalla Firenze del centro storico alla montagna fiorentina
Ecco come può tendersi un filo rosso nella vita di una persona che già all’età dei sei anni capita per caso alla villa Caffarelli a Fontall’orso, in vacanza, con le suore di Foligno, e che solo molto più tardi le succederà di correre nel bosco e nella frescura di questi pendii.
Negli anni novanta la Firenze storica,bella ma chiassosa,ricca d’arte ma trascurata e carica di smog induce l’intera famiglia Vezzani e poi anche i Giraud a far bagagli, a lasciare quella sbalorditiva vista del cupolone e iniziare a guardarsi intorno con ben altri orizzonti,suoni,profumi che il confine con il bosco di via delle Abetine a Borselli offre nella grande casa nido per l’arte, la liuteria, la musica e la pace e … cosa non trascurabile: il silenzio , il buio notturno che ti fa abbracciare il cielo quando la notte esci ad ammirarlo …. Questo ormai in città ti è negato, ma c’è la movida….
Il sito di via Abetine e Fonte ai massi ,sito protetto di ripopolamento, con il limitrofo bosco di abeti, querce e castagni propone a chi lo vive una dimensione che invita all’arte del paesaggio a quella situazione in cui la natura ancora così incontaminata dal grande turismo si rende ancor mistica, e con quella sua forza induce chi fa dell’arte a stimolare la propria creatività.
Per questo Isabella Vezzani vivendo a Borselli è portata a ” sfidarsi “ nell’osservazione di un lichene e nella sua restituzione nel modellare la creta, nel ricercare smalti e ossidi nel far ceramica Raku dando forma a sculture che ritroveranno un forte legame con l’ambiente. Anche la pittura polimaterica realizzata con papièr maché risente fortemente dei chiarori rubati alle luminose nevicate,anzi ,per terra al lavoro fra la neve nasceranno svariate “ carte” su piombo, si estrarranno dall’incandescenza della fiamma lastre Raku che finiranno la loro riduzione fra la neve, affermandosi come segni di esistenza.
Questi i percorsi del lavoro dell’arte esposti nel Chiostro romanico della pieve di Tosina, evento a cura di Pierre Cusseau . Le lastre Raku e le carte furono viste alla Fondazione Lanfranco Baldi a Pelago in ”Donne Creattive sul territorio” una vera festa dell’Unità, a cura di Franco Giraud e poi ancora alla Fondazione Baldi in “ Contenitori della memoria” a cura di Arte della ceramica. Le lunghe steli di carta polimateriche “abitano” tutt’ora il vano dell’antichissimo frantoio di Torremozza. Gli eventi sul territorio Pelaghese, vissuti e condivisi con altri artisti ed artigiani di cui il territorio stesso è ben nutrito, non hanno però incuriosito, almeno interessato quella fetta degli addetti alla cultura che di cultura e arte dovrebbero “cibarsi”, per tradizione almeno …..
Il gruppo di Saloon di Varietè Nomade “La Capragrassa” ci ha riuniti tutti un anno fa in una festa dell’arte che ha portato una proposta culturale assai alternativa, così fece anni addietro il CircoPaniko con “Punto di domanda” ed io; che dell’arte vivo, ho insegnato pittura, vorrei che nella patria del Ghiberti ancor oggi si percepissero le tracce dell’arte e dell’artigianato.
L’arte unisce,l’arte è il trait d’union con l’ambiente...
Il tratto di strada dove noi abitiamo, portava fino a pochi anni fa ad un piccolo ma incantevole laghetto, meta preferita dei bambini: Camillo, Diego, Martino, Rossella, Margot, Alessandro che Mario portava a pescare in silenzio poi... allegrezza, meta dei pic nic seguiti da fogli dipinti, tavolozze e acquarelli e ancora canti e danze accompagnate dalla fisarmonica di Franco e tuffi insieme a Fiammetta e al nero Pepe. Ora quello specchio d’acqua che per generazioni di paesani, villeggianti e camminatori è stato la meta di passeggiate, racconti e osservazioni è negato, diventando proprietà privata con telecamere, barricate che offendono la natura che le subisce e che non aveva paura le rubassimo profumi, riverberi lastre gelate... dei freddi inverni, nonché delle fresche calure estive... Alle rinunce supporta il vivere con la bella gente, amica, di paese che curiosa partecipa alla creatività del quotidiano, traguardando da Fonte ai Massi, la Firenze del cupolone laggiù, laggiù.
Ricordi di Don Romolo
UN PRETE FUORI DAL COMUNE : Don ROMOLO LOPPI
Come ogni tanto mi capita, vado a trovare i miei cari al cimitero di Tosina. Apro il cancello, salgo gli scalini e come sempre mi cade lo sguardo sulla tomba di fronte, quella di don Romolo. La guardo e mi viene in mente la nostra amicizia. Mi assale un fiume di benevoli ricordi e ripenso ai tanti momenti vissuti con lui: sia liturgici che laici! Ci fu un momento nel quale tutti eravamo dalla sua parte, quando si sparse la voce che lo volevano trasferire: ‘parrocchia piccola non serve tenerci un prete’! Ed il vescovo di Fiesole venne a costatare la situazione in un incontro con i fedeli. Fu un successo. Moltissime persone parteciparono e ci fu un confronto molto aperto! Don Romolo rimase al suo posto e noi potemmo tenerci il nostro prete.
Con lui la chiesa aveva recuperato molte pecorelle che non la frequentavano più, in compenso lui era assiduo frequentatore del circolo. Con questa premessa era facile arrivare ad una collaborazione. Erano anni che non veniva più fatta la fiera e ci venne in mente di fare la FESTA di BORSELLI abbinando anche la processione! Fu un successo e tutti rimasero contenti, il ricavato andò metà al circolo e metà alla chiesa per il mantenimento e per lavori extra. Don Romolo partecipò attivamente alla preparazione come elettricista.
Ricordo tanti momenti, come quando gli ho fatto l’impianto di riscaldamento nell’appartamento presso la chiesa. L’impianto aveva bisogno di lavori di muratura che faceva Loreno Cecconi, ma tutti i lavori faticosi li faceva lo stesso don Romolo: lo scavo, gli sfondi ecc. Ma un sabato sono arrivato alle 8 di mattina e sono stato accolto dalla madre che piangeva: “Mauro, don Romolo sta male”. Mi raccontò che la notte, svegliandosi, si era accorta che non era andato a letto, scesa in cantina lo aveva trovato in difficoltà. Ora dormiva così andai a lavorare ma a metà mattinata ritornai e vedendo che stava male le consigliai di chiamare il dottore. Lui non voleva: “Sono solo stanco!”… Fu portato all’ospedale ed io andai a trovarlo a Careggi alcune volte, ma il responso non fu buono.
I ricordi riaffiorano molto nitidi: i viaggi in Casentino con tutta la banda di amici di Borselli. Con Paolo eravamo un trio perfetto, ci capivamo al volo ma avevamo rispetto dell’abito. Lui mi chiamava ‘il brigatista’! Una volta alla Mostra dell’Artigianato alla Fortezza da Basso feci quasi a botte con un tizio che gli aveva mancato di rispetto! Con noi lui veniva ovunque -sapeva di essere al sicuro- alle fiere, alle feste dell’unità, e anche alle zingarate. Solo in Casentino doveva fare il prete, essendo di lassù lo conoscevano tutti.
Chiunque avesse bisogno di un lavoretto elettrico lui era disponibile. Era molto amichevole con tutti, e forse questo era il suo limite, voglio dire che ci poteva essere chi ne abusava: e qualcuno c’èra ! Ad esempio quella volta che Rombino, che aveva un po’ bevuto, si fece dare da Bistecca un uovo e lo schiacciò sul capo di don Romolo, lui non si arrabbiò, si ripulì, prese una torta dal frigo e la spiaccicò in faccia a Rombino!! Una sera tornando dal Casentino con gli amici, alla Consuma trovammo don Romolo circondato da quattro o cinque tizi che lo forzavano a bere altrimenti sarebbero stati ‘moccoli’. Lui naturalmente non voleva, così lo portammo via! Molti si prendevano confidenza, senza rispettarlo.
Un suo difetto era come guidava l’auto…: veloce! Era uno spericolato! Una sera si mise a fare una gara guidando, a marcia indietro, dalle cupole al circolo!
Dicevo di come era operoso: aveva due parrocchie, Tosina e Ferrano, e a Ferrano aveva anche il podere dove raccoglieva le olive e vendeva l’olio. Io l’ho comprato ed era buonissimo.
Mi ricordo che spesso celebrava la messa cantata con la partecipazione di molti giovani.
Devo riconoscere che la sua mancanza è stata molto sentita da tutta la comunità. Dopo di lui la chiesa non si è più riempita! E ci sarà un perché!!
Borselli per alcuni anni ha dedicato a lui la corsa podistica e l’ha denominata “Trofeo don Romolo Loppi”.
Questo era don Romolo, con i suoi difetti, i suoi pregi, la sua amicizia verso tutti. Se devo darvi un’idea: era un prete fra la sua gente!
Un ricordo a sua madre Teresa, grande donna, forte, in poco tempo ha perso il marito, il figlio, la nuora!
P/S: nello scherzo dei lucchetti Don Romolo fu una delle vittime e si arrabbiò molto. Non aveva capito chi era stato! Pensava ad un atto intimidatorio!!
A pensarci bene un difetto grosso l’aveva: era “gobbo”!!!
Ciao fratello
Mauro Bartolini
Ricordi di Don Romolo
Di Luana
DON ROMOLO…NON SOLO UN PRETE.
Quando l’ho conosciuto ero ancora una bambina. Ricordo un uomo basso, cicciottello, viso tondo, pochi capelli, occhi azzurri, denti piccoli ma sempre in evidenza perché il sorriso era sempre sul suo viso.
Un prete che è riuscito fin da subito a mettere tutti d’accordo, credenti e non credenti. I parrocchiani di Tosina la domenica erano con lui in chiesa e lui non mancava mai di recarsi al bar, al circolo, nelle famiglie, in piazza per parlare con le persone. Ogni luogo era la casa di tutti e lui uno di famiglia. E’ lui che mi ha conferito il sacramento della prima comunione e qualche anno dopo mi ha passato a cresima.
In poco tempo è diventata una figura fondamentale per il paese, un prete ma prima di tutto un uomo presente per la gente e con la gente. Un uomo con il quale potevi parlare di tutto, sapeva ascoltare e soprattutto perdonare, anche chi si prendeva qualche confidenza di troppo. Si perché non si sottraeva nemmeno a qualche scherzo un po’ pesantuccio.
Con i giovani aveva un rapporto speciale, tanto che era riuscito a formare un coro, la domenica in chiesa lui suonava e noi si cantava (io ero la cantante solista del coro). Andavo volentieri anche alle prove perché oltre al dovere non mancava anche il piacere e quando eravamo bravi ci portava a mangiare la pizza.
A quell’epoca ricordo che stavamo bene con poco (forse perché era poco quello che avevamo ma tutto autentico) e con poco ci divertivamo. Io voglio ricordare Don Romolo in un giorno di festa, nel lontano ’82 quando l’Italia vinse i mondiali di calcio… Noi ragazzi, 7, 8, 9 non ricordo di preciso ma ci fece salire sulla sua auto e via a tutto claxon a festeggiare verso Firenze… ma in città non ci siamo mai arrivati, abbiamo fuso il motore dell’auto! Ma ci siamo divertiti da pazzi. Che bei tempi erano quelli!
Se non ricordo male un paio di anni dopo un brutto male ci portò via il nostro parroco, ma soprattutto un grande uomo. Niente è più come allora, le persone non sono più come allora, forse perché lui era riuscito a mettere tutti d’accordo.
Caro Don Romolo io ti ricorderò sempre con il sorriso.
Luana Cecconi
Ricordi del paese di Borselli
Premessa:
Borselli, un paese nato da una costola di Castelnuovo
Io sono Mauro Bartolini (quello con i baffi in moto da enduro), nato nel 1944 a Castelnuovo, paesino del 1300 arroccato su uno sperone di roccia a circa 1 Km in linea d'aria da Borselli, con evidenti segni medievali e la solita leggenda medicea...!
Si racconta che nel 600-700 in questo paese, di un centinaio di anime, la facessero da padrone la miseria e la fame. Si dice che fosse abitato da un centinaio di persone e che uno dei modi per sfamarsi fosse quello di andare sulla strada a fermare i viandanti che andavano o venivano dal Casentino per rapinarli. Così dicevano: "Stasera si va a borselli" (brigantaggio)!! Forse è così che è nato il nome di Borselli. Può sembrare una leggenda e forse lo è ma molto vicina alla realtà, visto come erano quei tempi.
Castelnuovo fino a metà del secolo scorso veniva chiamata la Repubblica di Castelnuovo perché gli abitanti non accettavano influenze da nessuno ed erano in lotta perenne con i paesi vicini, ma non con Borselli!!!
Ricordo del paese
Molti sono i ricordi, dall’infanzia fino ad ora, riferiti al paese di Borselli: 70 anni senza mai tagliare del tutto la frequentazione con questa campagna, avendo mantenuto la casa di famiglia.
Fine anni ’40: con mio padre andavamo spesso da Castelnuovo al circolo, lui era un consigliere ed i miei nonni soci fondatori. Ci sono cose che subito mi tornano in mente, quelle che piacevano ad un bimbo: le bibite in bottiglia, quella bottiglia della Roveta a forma di arancia; ricordo come erano buone le fette di pane col prosciutto che mi preparava Felice e quanti sigari toscani ho comprato per nonno Cecco. Poi quelli con i quali avevamo più contatto: la cooperativa, la sarta Gina, il calzolaio Ezio, il fabbro Mercatelli, la Mora e Pallino, la famiglia del Tapinassi (detto Creste)! Ma per noi ragazzi che venivamo da fuori paese l’avvenimento che aspettavamo tutto l’anno era la fiera con i banchi di chicche, i giocattoli, il cocomero, ma soprattutto era il poter ritrovare gli amici, i parenti lontani. Tutti gli anni il giorno della fiera la gente di ritrovava. Non vorrei sbagliare ma doveva essere l’ultimo martedì di Luglio, mentre alla Consuma l’ultimo giovedì di Agosto.
Mi ricordo le tante sere che con babbo andavo al circolo soprattutto in estate, andavamo lì perché era il luogo di aggregazione più importante! Alcune domeniche veniva organizzato anche il ballo con l’orchestra, all’ingresso non davano i biglietti ma dei fiocchini colorati muniti di spillo: chi acquistava quelli rossi poteva ballare, chi acquistava quelli verdi poteva soltanto guardare!
Borselli per noi che si veniva da fuori era il paese dotato di tutti i servizi: i Carabinieri (la caserma si trovava dove ora è il bar) con il Maresciallo che era il marito della postina, l’Ufficio Postale, importante per la gestione dei soldi, il calzolaio, il fabbro. Vi erano due pensione-ristorante: Felici e Memmo, la cooperativa con il forno, ma soprattutto gli autobus Stasi, Sita, Lazzi che erano il mezzo per andare al lavoro a Firenze. Quando arrivavamo alla fine del viottolo ci sentivamo nella civiltà, visto come eravamo chiusi noi su a Castelnuovo. Pensate che quando era tempaccio ci cambiavamo le scarpe alla statale, le levavamo perché sporche di fango, ci saremmo vergognati!
Borselli era il collegamento fra noi di Castelnuovo e d il mondo.
Ricordo di essere stato con i miei genitori e due zii al carnevale di Pratovecchio con la Balilla di Felice Felici (faceva anche da taxi, oltre che ristorante, albergo, pizzicagnolo, tabaccaio e aveva anche la benzina in taniche). Il fratello Galantino Felici era il boss di tutto il paese!! Era uno che aveva molte amicizie, era riuscito a portare al suo ristorante personaggi come Rascel e Macario e molte persone influenti.
Negli anni ’50 i miei si trasferirono a Firenze ma noi il giorno della fiera venivamo comunque il pomeriggio con la Topolino a Borselli.
Dalla fine degli anni ’60 quando la fiera si è trasformata in festa paesana in collaborazione con il priore don Romolo (prete eccezionale), noi riempivamo il circolo, lui la chiesa, insomma noi andavamo in chiesa e lui veniva costantemente al circolo, era uno di noi. Un circolo senza connotazione politica forte , ma con molto volontariato rivolto al paese.
Facevamo molti giochi: la pentolaccia, il tiro alla fune, il palo della cuccagna, la ruota di Cecco, lo schiaccia palle, il maialino, la pesca ecc. tutti al lavoro, giovani e meno giovani, tutti importanti. Tullio, Ezio (detto Trueba), Piero e Gastone di Memmo, Enzo, Mario elettrauto, i Mercatelli Oreste e il cugino, Paolo, Piero Tapinassi, Pierluigi Gori, Romano (detto Cinci), Stefano Tanturli, Gianni Centrone, Sandro Fantimasi, Pasquale, Palmiero e Patrizio Pierguidi,Vittozzi Aldo, Adamo Masetti, Alessandro Lanini, Carlo Bartolini, Pierino, don Romolo, io e Franco di Castelnuovo e altri che ci aiutavano per ottenere i permessi: Roberto Panaci che eraassessore, Guido Meacci impiegato al Comune di Pelago ed altri che ora mi sfuggono.
L’evento più importante del giorno era la processione con la Madonna di Tosina che doveva essere portata a spalla dalle donne (per una sorta di espiazione?) e la distribuzione della porchetta (a gratis!) fatta da Adamo con l’aiuto di Santi, mio e di altri.
Per una quindicina di anni abbiamo organizzato anche la corsa podistica non competitiva di una decina di km lungo le strade e i viottoli di Borselli. Qualche volta partecipavano alcune centinaia di amatori.
Durante tutta l’estate si organizzavano partite di calcio fra scapoli e ammogliati, fra donne, fra ragazzi. Piccole gincane per bambini e tanti pranzi e cene con enormi grigliate, qualcuna mitica! Una volta in pineta a Fontamassi fummo presi da un temporale estivo con la gente riparata persino sotto i tavoli. E poi la sfagiolata al campo sportivo e tante altre feste a tema.
L’estate era dedicata alla comunità stanziale e villeggiante. Gare di briscola e infinite partite a scopone con il Falcini e il Caldelli, il Fossati, Piero, Paolo Tapinassi, Carlo e spesso vi partecipavo anche io.
Ci sono stati giorni indimenticabili, come quando decidemmo di fare una scherzo a quasi tutto il paese!!!
Primi anni ’80: sono in ferie con un pulmino Ford Transit giallo perché la mia auto aveva avuto un problema, quindi lo usiamo per andare in Casentino a fare una ‘zingarata’ in 7 amici. Con me Paolo, Sandro, Aldo, Fulvio, Carlo, Gastone. Dopo aver fatto un po’ di casino alla fiera di Strada, a qualcuno, passando davanti alla Magona e vedendo dei rotoli di catena esposti, gli viene un’idea da genio, quelle che arrivano come un macigno: compriamo catena e lucchetti e chiudiamo Borselli!!! E vaiii! Tutti contenti, compriamo una decina sia di lucchetti che di metri di catena, quindi per una settimana al lavoro a casa di Sandro. Facemmo molti cartelli con vernice e pennarelli ed una notte mettemmo in vendita case, ville, pensioni, la fattoria, gli orti, corti trasformate in parcheggi, ma soprattutto cancelli e portoni, tutti incatenati con i lucchetti con tanto di numeri di telefono per ‘Vendesi’ o ‘Affittasi’!. Un particolare: sul portapacchi avevo messo una scala di sei metri quindi li potemmo attaccare in alto, in modo che non fosse facile rimuoverli. Ci muovevamo come felini nella notte! Immaginate la mattina cosa è successo: chi ha perso l’autobus, che non usciva con l’auto, chi riceveva telefonate per la vendita…ma dopo il primo sgomento tutto il paese si è divertito moltissimo per molto tempo. Per il signor Vittorio Falcini (detto Socera) è stata “una genialità” e per anni ha seguitato a raccontarlo a tutti.
Ma non solo in estate, anche in inverno facevamo cose per coinvolgere il paese, ad esempio la Befana, meravigliosa, con Alessandro Lanini truccato dalla mamma Vanda e il somarello con due dentro, Carlo e Paolo o altri. Si passava da locale in locale, di casa in casa. Ultimamente la faceva Patrizio.
Negli anni ’70- ’80, fino alla metà degli anni ’90 questo era lo spirito che aleggiava in quel meraviglioso periodo, dove le persone non avevano i problemi e l’egoismo di adesso e la TV e la rete non avevano condizionato il vivere. Eravamo operosi ma anche un po’ spensierati.
Ma forse la mia adesso è solo vecchiaia!!
Ps. Di tante persone di Borselli importanti, più o meno belle nella loro unicità, simpatiche, estroverse, il più singolare era senza dubbio Gastone Fossati: lui era il casinista, rompiscatole, amicone, maso contrario, il ‘più assai moltissimodipiù’ , capace di farci litigare dovunque si andava!
E molti ricordi che ci sono rimasti sono opera sua, dalle foto ai filmati. Ora vorrei ricordarlo come quella volta a sciare sul Ciampac quando passai con i miei sci sopra i suoi!!! Lo vedo ancora sbellicarsi…mi disse: “hohoho mai nessuno c’era riuscito vaff…..aaaaaa!”.
…Borselli: uno scherzo mitico!
Ora vorrei raccontare di una serata che è rimasta nel ricordo di un intero paese.
Faccio una premessa: in tutte le generazioni ci sono cose che vengono tramandate: mestieri, sapori, usanze, racconti di vita, favole, ma anche giochi e scherzi ecc. Ed è proprio uno scherzo che alla fine del ’70 ha coinvolto tutto il paese: a seconda del luogo, è conosciuto come della ‘Marisa’ o ‘Marcella’ o ‘Graziella’, da noi della ‘Franca’ o ‘Franchina’.
Si deve partire con l’individuare il soggetto giusto che deve essere uno con una spiccata portata verso l’altro sesso, in questo caso il Dott. G. Una volta individuato si fa in modo che ascolti una conversazione fra due, massimo tre persone, che parlano, quasi sottovoce, e raccontano di una serata memorabile trascorsa in compagnia di una splendida ragazza che abita in una casa colonica poco fuori Borselli alla quale piace…..
Se alla prima il soggetto non abbocca, si ripete il tutto. Al momento che il tizio incomincia a mostrare interesse ad un incontro si comincia ad avviare il piano nei vari passaggi e scegliere i personaggi: chi lo dovrà accompagnare, chi farà la ‘Franchina’, chi dovrà fare il fratello grullo (fondamentale), insomma alla fine verranno coinvolte una decine di persone.
Viene pianificato il percorso, con sopralluoghi dal punto dell’incontro al ritorno al paese, con passaggi obbligati, con tanto di anfiteatro per il folto pubblico, forse una trentina di persone o più nascosti in una querciolaia. Io devo stare a proteggere ‘la Franchina’. Sandro Lanini è l’accompagnatore del Dott. G., Paolo Tapinassi fa la staffetta, Danilo alias Rombino dotato di una voce potente è il primo fratello, Palmiero Pierguidi il secondo fratello, poi io, in seconda battuta, entro in gioco con la macchina alzando i fari per accecarlo nel buio e sparando con una scacciacani!
Devo dire che nei giorni precedenti Paolo aveva fatto un gran lavoro per stuzzicare la curiosità e la voglia del Dottore. Lo aveva portato in giro a conoscere chi aveva già provato e fatto vedere delle belle ragazze indicandone una come la più probabile ‘Franchina’.
Viene fissata la sera e l’ora: intorno alle 11-11,30. Noi tutti in posizione dalle 10,30 e silenzio assoluto e senza fumare pena passare ‘da busseto’. Non ammettevamo errori!. Era Paolo in ‘Ciao’ che precedeva di poco a dare il ‘silenzio’.
Al dottore era stato comunicato che lei aveva un fratello pazzo ma che di solito non era in casa, comunque, se fossero sorti problemi, era meglio darsela a gambe, tanto Sandro conosceva benissimo il luogo e poi c’era una bella luna.
Una volta vicino al luogo dell’incontro bastava chiamare la ragazza:
‘Franchinaaaa’
e aspettare la risposta. Appena il dottore sente dire
‘…si vieni caro’
comincia ad avvicinarsi, ma improvvisamente esce dall’ombra il fratello pazzo urlando :
“DOVE VAI GIANNONE TI AMMAZZO”
e, brandendo un querciolo, comincia a colpirlo ripetutamente.
A quel punto Sandro lo prende per mano e lo trascina lungo il percorso stabilito attraverso macchie di pruni e di ortica.
“Salta”
gli diceva e lui saltava sopra i pruni o ci cadeva dentro
“uuuoioi”
…Arrivano così alla chiesa:
“dottore siamo salvi!”
dice Sandro ma lì ci sono io che accendo i fari che li accecano e comincio a sparare.
“E’ armato, via andiamo a riparare in chiesa”
ma la chiesa è chiusa, non resta che entrare nel bosco su per il viottolo che porta a Borselli. E lì l’ultimo atto: Carlo e Palmiero scuotevano un grosso querciolo apostrofando il poveretto che, impaurito comincia a correre in salita verso il paese.
Arrivato alla luce dei lampioni abbiamo visto come era ridotto: stravolto con il viso graffiato, faceva sangue da vari punti ed in più pieno di galle provocate dall’ortica…..Ma non era nulla in confronto al resto: il tizio era venuto in pantaloni CORTI e di pelle, sia sulle gambe che sulle braccia, ne era rimasta poca
E’ stato portato nella stanza del dottore al circolo e lì sul lettino medicato con alcool (si sentiva urlare da Pomino!) e fasciato come una mummia!!
Per una settimana non si è fatto vedere in paese, poi raccontò che non aveva mai avuto tanta paura nemmeno con i tedeschi,
“…scuoteva i quercioli come fiorellini…”
diceva il malcapitato riferendosi al fratello grullo!
Alla moglie ha inventato che si era conciato in quel modo perché voleva allenarsi per la corsa podistica in programma a breve ed era caduto in una macchia.
Gran parte dell’estate il paese la passò commentando lo scherzo e rivivendo una infinità di volte i fatti, e ancora oggi a distanza di 30 anni lo ricordiamo con allegria soprattutto noi che lo abbiamo vissuto tutto.
Curiosità: il dottore era un burocrate dello Stato!!!!
Mauro Bartolini